martedì 22 luglio 2025

Relazioni algoritmiche: l’illusione della connessione, dentro e fuori dal digitale

La verticalità digitale delle relazioni è alla base dei nostri nuovi rapporti online e offline che poggiano su un terreno dotato di sabbie mobili in ragione del design con cui sono costruiti tanto i social network come Facebook, Instagram, Whatsapp e Telegram quanto le app di dating come Grindr e Tinder.
Pare che fuori dal web siamo portati a concepire di per sé i soggetti in modo perlopiù orizzontale. Non c'è davvero una persona che nella nostra vita è sempre in basso o in alto, a eccezione di certi ruoli di potere che le persone assumono nei nostri confronti (es. un insegnante, un genitore, ecc.); ma nella lista delle chat recenti delle applicazioni che usiamo ogni giorno, pare che siamo portati a concepire i soggetti in modo esclusivamente verticale, e questo ha conseguenze in tutta la nostra vita sia online sia offline, e quindi sugli stessi rapporti di amicizia che un tempo avremmo considerato orizzontali a noi.

Oggi, per esempio, ho visto su Whatsapp un contatto a cui non scrivevo da diverso tempo. Frequentarlo mi faceva stare bene, ma per via del lavoro, dello stress e di altri impicci, non siamo riusciti a trovare un momento per passare del tempo insieme, e questo ha comportato che io mi allontanassi da lui, e forse anche lui da me.
Ho evitato di scrivergli perché mi sarei sentito invadente e di rovinargli la giornata, ricordandogli, non volendo, la sua situazione lavorativa precaria.
Tuttavia, prima che spostassi la mia attenzione su altre cose, ho fatto qualcosa che mi ha convinto a scrivere questo post: ho fissato in alto la sua chat, in modo che se mi fossi ricordato di lui sarei magari potuto essere pronto a scrivergli.

1. L’algoritmo della lista delle chat recenti
Abbiamo davvero avuto la libertà di contattare quel nostro amico e di non contattarlo tutti gli altri giorni? La nostra attenzione sarà sempre preziosa e limitata ma, nel sistema in cui siamo, sembrerebbe silenziosamente condannata ad essere mossa da una libertà sottomessa ad un "algoritmo della priorità" che abbiamo fatto nostro.
Questo algoritmo lo vediamo nella lista delle chat recenti che appare appena apriamo Whatsapp, invece di una rubrica.
Pare che la schermata delle chat recenti diventi accidentalmente il motivo (e non l'effetto) del nostro trascurare le altre persone, con le quali stiamo bene.
Siamo motori spinti da un fine che non sentiamo nostro, in un meccanismo che non riconosciamo genuino ma che, ciononostante, ci trascina verso di lui, in quanto immersi, radicati, cresciuti e diventati quel meccanismo algoritmico.

2. Le sabbie mobili delle relazioni digitali
Quando si verificano le sabbie mobili relazionali? Iniziano a verificarsi progressivamente quando non si scrive ad una persona per qualunque motivo, e quest'ultima finisce in basso alla lista delle chat recenti. Solo che questi motivi non sono sempre attribuibili a noi, alla nostra libertà di scegliere di scrivere o non scrivere a quella persona, perché qui ricorre anche ciò che non è in nostro controllo a influenzare la volontà, nostra e dell'altro, o a non influenzarla, negativamente o positivamente. Non riuscire a capire il limite del nostro potere e di ciò che non è in nostro potere, pare che rechi una sofferenza tale da impattare sui nostri contatti amicali che, non essendo davanti a noi o accanto a noi, ma o in alto o in basso ad una lista di chat recenti, fa spegnere, per inerzia, il rapporto portandoci a chiedere: "Cosa ci rende ancora un amico di quella persona?"

3. Soli "a seconda" degli altri
Perché non riusciamo a concentrarci sulle amicizie autentiche e sulle nuove conoscenze?
Il funzionamento di alcune applicazioni di messaggistica fanno leva sulla nostra tendenza a non sforzarci di decidere di aprire la rubrica e di contattare singolarmente un nostro contatto. Se all'avvio di Whatsapp, questa libera decisione non avviene, per via di una libertà intrappolata nella possibilità immediata di avere davanti le stesse persone con le quali abbiamo di recente parlato, e non queste "con" le altre, diventiamo isole per VIP (Very Important People) e noi stessi VIP di altri; la cui nostra importanza è bilanciata sulla quantità, cioè sulla base del numero di conversazioni avvenute con una persona, piuttosto che sulla qualità, cioè sulla genuinità delle conversazioni avvenute con una persona.
Capito questo schema, pare che lo introiettiamo e lo usiamo per leggere i nostri rapporti anche offline. Così, l'importanza che viene attribuita ad un contatto piuttosto che l'altro, considerata sotto questa lente algoritmica, ci convince di dover rimanere nella situazione in cui siamo perché altre situazioni, conversazioni e contatti nuovi o passati non sono possibili: si verrebbe visti come strani ed estranei.
L'algoritmo porta a considerare noi stessi e l'altro come sbagliati, portandoci però a rafforzare l'algoritmo stesso inconsapevolmente.
Considerandosi sbagliati agli occhi degli altri, si spegne il bisogno dell'altro e si accende la convinzione che si possa essere giusti con sé stessi "a seconda" degli altri e non "per" gli altri.
Ma pare che, considerarsi giusti "a seconda" degli altri, ci porti: 1) a considerare noi stessi né giusti in sé né ingiusti in sé; 2) a svalutare la nostra stima di noi stessi perché, in quanto frutto di costruzione algoritmica, dipende dagli altri; 3) ad isolarci o comunque di dover continuare ad essere, purtroppo, soli "a seconda" degli altri.

4. Una stanza piena di fantasmi
Così, entrare su Whatsapp è come entrare in una stanza fatta di fantasmi, che rappresentano i nostri ricordi. Alcuni di questi fantasmi (o ricordi) sono più vividi (chat più recenti) e altri meno vividi (chat meno recenti). Ciononostante, tutti sono fantasmi, mutevoli e sfuggenti in misura maggiore rispetto a tutto il resto, in ragione del modo in cui sono posti nella stanza (la nostra mente).
Invece, una stanza dovrebbe essere fatta di persone poste in un modo da farci essere effettivamente liberi di parlare "con" loro, e in cui l'amicizia non si misura quantitativamente con un algoritmo che fa salire in alto l'ultima persona con la quale si è parlato.
Questo ci porterebbe inevitabilmente a non sforzarci di esplorare la stanza: ci indurrebbe, cioè, a non ricordare alcune persone e a ricordarne non liberamente altre. Questo accade non solo perché esse sono meno vivide (persone con le quali non chattiamo da tempo), ma anche perché, proprio perché meno vivide, fanno sì che noi stessi siamo meno vividi nei loro confronti e, in questo senso, ci sentiamo più lontani, meno amici e, quindi, non opportuni o, peggio, sbagliati nei loro confronti.
Noi inconsapevolmente pensiamo di essere "con" tutte le persone su Whatsapp (e altre applicazioni che funzionano come questa applicazione), ma pare che le cose non stiano così, perché tendiamo a non ricordarle, per poi sempre più dimenticarle, e così dimenticandocene diamo ad esse poco valore, fino ad essere disincentivati dal contattarle, nonostante, paradossalmente, siano persone con le quali siamo stati bene.
E, ovviamente, anche loro sono disincentivate a contattare noi, perché anche noi appariamo potenzialmente meno vividi ai loro occhi, non solo per il tempo trascorso in sé o dagli impegni che tutti abbiamo, ma anche per il modo in cui funziona Whatsapp e applicazioni simili.

5. La democratizzazione morale tecnologica: il piacere della ricerca per la ricerca trascura l'incontro
Perché le applicazioni come Whatsapp sono state progettate così? Pare che queste app sfruttino un funzionamento della nostra mente; e cioè quello che ci permette di essere attratti dalla ricerca del piacere, pur superficiale, della stessa ricerca immediata e costante di qualcos'altro, rispetto a ciò che si è trovato. Questo sembrerebbe suggerire che già in noi c'è uno schema mentale che ci porta, se stimolato, ad allontanarci dalla vera amicizia, ad attrarci, come Odisseo, verso le sirene dal seducente canto che ci porta alla morte, se non ci leghiamo ad un "palo".
Internet è uno strumento prezioso, ma nonostante si conoscano i rischi (forse, ancora, non abbastanza), non si può fare altro che conviverci, senza quindi evitarli, in ragione di una democratizzazione morale tecnologica su base algoritmica, sociale e psicologica, che ci costringe in un loop all'interno del quale siamo tutti invischiati, tanto in alcuni social network, come Whatsapp o Facebook, quanto in alcune dating app.
Per esempio non possiamo fare a meno di usare alcune applicazioni, piuttosto che altre meno in voga, per i gruppi di università, le comunicazioni di lavoro, ecc.
Questo ci porta a trovare l'autenticità e la genuinità delle relazioni in posti sbagliati perché altri posti non sono stati creati o non sono stati promossi e, per questo, non sono "possibili", fino al punto di "non dover essere possibili", con la conseguenza che il piacere che possiamo e dobbiamo conoscere è quello promosso da un certo design popolare delle applicazioni. Un piacere effimero e sfuggente ricavato dalla ricerca stessa, orientata ad un oggetto sfuggente che lascerà sempre il posto, ancora, ad un altro sfuggente oggetto da ricercare, e così all'infinito, minando al presente, ai doni (da "present" in inglese).

6. Possibilità di libertà tecnologica
La "democratizzazione morale tecnologica" è sistemica e come tale non ci consente, una volta invischiati, di guardarci dall'alto e risolvere il nostro "isolamento" dagli altri.
Fino a che qualcosa cambia con una presa di chiara e autentica consapevolezza di cosa è il vero bene per noi, e ritorniamo dall'essere in una situazione in cui ci siamo noi "a seconda" degli altri, ad essere in una situazione in cui ci siamo noi, non più da soli, o peggio soli, ma "con" gli altri. A costo, talvolta, di iniziare questo cambiamento da soli e rinunciare all'utilizzo di applicazioni come Whatsapp ed essere, almeno in un primo momento, da soli ma aperti alla concreta possibilità di essere "con" gli altri, qualora questi altri raggiungano la nostra stessa consapevolezza, e si scaricano un'altra applicazione di messaggistica che ponga le persone in maniera orizzontale e non verticale, come accade nella lista delle chat recenti di Whatsapp.
Noi siamo portati a usare immediatamente la tecnologia nel modo in cui ci viene posta e non ad usarla immediatamente nel modo in cui potenzialmente può essere usata, cioè magari nel modo in cui la vorremmo effettivamente usare. Per esempio, nonostante Whatsapp si apra con la lista delle chat recenti, nulla ci vieta di aprire la rubrica con due o tre clic. Eppure, dopo aver letto questo articolo, non lo faremo.
Questo avviene perché la tecnologia di massa attuale (es. Whatsapp) è progettata in un modo tale da non renderci pienamente liberi di fare consapevolmente determinate cose piuttosto che altre. Questo design viene copiato anche da altre applicazioni probabilmente perché ci risulta più familiare, e non perché i proprietari delle applicazioni ritengono di toglierci qualche libertà. Per esempio, accedere alla rubrica come prima schermata su Whatsapp è impossibile, perché il codice sorgente dell'applicazione è chiuso e, quindi, non modificabile.
Saremo liberi quando potremo essere aperti alla concreta possibilità di essere "con" gli altri, ma affinché ciò accada nel digitale, e quindi anche offline, è necessario che ci siano e vengano promosse le applicazioni libere (cfr. "free software", "open source"), modificabili dall'utente (sebbene esperto) e non da qualcun altro che limita la libertà di raggiungere ciò che è meglio per il bene comune, in ragione di interessi individuali economici ed egoistici.

7. Il primo passo: la consapevolezza
Con MSN Messenger o Yahoo Messenger venivi notificato quando qualcuno si collegava e l'impressione complessiva che potevi trarre era di essere in un salotto, in cui si aveva la percezione di essere, almeno, più connessi di ora (virtualmente e non!).
Avevi davvero la percezione di essere connesso, quantomeno più di adesso.
Il primo passo per uscire da questo isolamento, è prendere consapevolezza del funzionamento delle applicazioni come Whatsapp, perché solo capendo è possibile far funzionare la nostra volontà in maniera adeguata, aprirci cioè alla concreta possibilità di essere "con" gli altri.
Se siamo isolati e controllati, è anche perché chi progetta la tecnologia ci conosce meglio di noi come esseri umani, ma d'altra parte l'illusione che possiamo essere in pieno controllo di noi stessi è il primo passo per essere in realtà già controllabili.
Questo meccanismo algoritmico introiettato e sistemico in noi, e di cui noi trascuriamo l'esistenza e la portata, ha portato a spiegare i comportamenti negativi, nostri e degli altri, in un primo momento come egoisti, fino a quando non ci siamo accorti che queste applicazioni, e il nostro atteggiamento nei loro confronti e degli altri, ci hanno portato ad essere protagonisti tra protagonisti, ovvero isole. Si tratta di un sistemico isolamento dove connettersi con l'altro comporta "giustamente" ansia, immobilità e paura.
Occorre, perciò, prendere consapevolezza una volta per tutte di questo e guardarsi dall'alto, a costo di dover dubitare di ciò che riteniamo ovvio di noi e degli altri.
Non potremmo rendere il mondo a misura per tutti se non iniziamo a pretendere di capire perché e come essere in modo autentico noi stessi. L'algoritmo, e noi che lo alimentiamo e che ci facciamo promotori decretiamo quanto le nostre identità hanno più o meno capacità di essere e, perfino, esistere per gli altri e per noi stessi.
La soluzione non è rompere questo sistema ma ri-significarlo.

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