Cosa hanno in comune razzismo, misoginia e misandria? La tendenza a pensare che un piccolo gruppo di persone dalle caratteristiche negative sia sufficiente a far pensare che uomini, donne o persone di un'altra nazionalità siano tutti o in gran parte persone negative.
Questo errore logico porta il femminismo a suggerire che il Bene possa essere una "Lei", e che il Male sia di conseguenza un lui.
Un ragionamento di questo tipo continua ad impattare la politica, la comunicazione giornalistica e, tristemente, la cultura, le statistiche e le università, macina di sapere, conoscenza, e verità.
Il femminismo trascura il lato oscuro e luminoso di entrambi i generi e abitua a pensare che siano i dati statistici a doversi piegare a questa idea dell'uomo e del suo predominio maschile onnipervasivo.
Una buona norma sarebbe far piegare, invece, un'idea così errata ai dati statistici i quali, tra l'altro, dimostrano come la probabilità di essere ad esempio violentate per strada è davvero bassa per avere paura di uscire di casa o per andare a fare un elettrocardiogramma da un uomo.
Avete mai pensato, però, che il discriminare l'uomo, essere misandrici, mettendolo in cattiva luce, possa colpire di riflesso anche la donna, possa cioè diventare un problema femminile? In altre parole, che possa essere misogino? Per chi pensa che siamo infondo parte di un grande organismo vivente, non dovrebbe essere una sorpresa.
Le pagine Instagram "Safe place 4 women and men" (@4womenandmen) e "L'altro silenzio" (@laltrosilenzio) hanno pochi giorni fa pubblicato un interessante post a riguardo che invito a ricondividere e a diffondere.
Si tratta di un post in cui con dati alla mano si vuole combattere, tra gli altri stereotipi elencati, lo stereotipo dell'uomo meno capace, in quanto biologicamente uomo, di prendersi cura dei figli perché, oltre al fatto che le cose non stiano così, un rapporto di correlazione sembra suggerire come vi potrebbe essere una relazione causale nel modo in cui si percepisce negativamente l'uomo nel ruolo di cura dei figli (perché meno uomo, meno virile, ecc.) e l'effettivo svolgimento del ruolo di cura del padre che viene meno. Questo ci porterebbe a prendere atto che le donne che criticano l'uomo nello svolgere il ruolo di cura si trovano, in realtà, a pagarne le conseguenze in termini di tempo coi figli; e questo significa anche meno tempo per loro stesse.
Cosa significa agire come se si fosse il Bene? Posso non pensarmi il Bene, ma posso comunque dire o agire lasciando far crescere nell'altro l'idea che sono il Bene e quindi anche il Vero. Un esempio di quello che voglio dire traspare dall'espressione: "sorella io ti credo", una frase parte della retorica che gran parte delle femministe ripetono e/o supportano, o comunque, non condannano, in virtù del dogma femminista del patriarcato (o, più propriamente, "maschiarcato", come giustamente chiamato dall'antisessista e antifemminista Luca della pagina e canale youtube WannaBeHuman) secondo il quale l'uomo è oppressore e la donna sua vittima "sistemicamente" ("not all men but always a man").
"Sorella io ti credo" è una frase, tra le tante della montagna di slogan femministi e misandrici (ma, come abbiamo cercato di dimostrare, misogini a loro volta), che rappresenta un vero e proprio attacco alla responsabilità individuale in nome di una non ben definita responsabilità (leggasi, più esplicitamente, "colpa") di cui devono farsi carico tutti, ma soprattutto gli uomini in virtù del mito secondo cui essi solo hanno il potere di fare leggi, di dire, di agire e di cambiare la società, e quindi di essere la causa sistemica della violenza perpetrata sulle donne.
Per fare in modo che questa pantomima possa proseguire verso la "vera parità" femminista è necessario però che si trovi, anche quando non c'è, questo fantomatico patriarcato ovunque.
Ed ecco che il femminismo, è, come dice Santiago Gasco Altaba ne "La grande menzogna del femminismo (vol. 1)" un sistema di pensiero che si autoalimenta, perché altrimenti non starebbe in piedi senza questa ossessione nel cercare il colpevole uomo.
A rendersi conto di come la narrazione femminista possa restare in piedi solo con un attacco netto e deciso ai problemi che interessano le donne, trascurando il punto di vista maschile ai problemi relazionali con l'altro sesso, è Warren Farrell (autore de "Il mito del potere maschile"), una delle voci fondanti dell'Antisessismo, ex-femminista e ideatore della parola "bi-sessismo" che richiama all'idea secondo cui la società tutta è dominata tanto dal maschio (patriarcato) quanto dalla femmina (matriarcato) in modi diversi.
A prescindere dalle distinzioni Bene/Donna e Male/Uomo, bisogna sicuramente tendere verso il Bene, quello vero e assoluto, ma non mostrarsi come quel Bene, ma al contrario, mostrarsi come una persona che si mette in discussione e non ragiona per massimi sistemi, come il patriarcato, piegando dati e numeri a vantaggio di questa visione come uno spirito da nutrire senza del quale le istanze femminili non vi sarebbero.
Questo modo di agire razionale o no, cosciente o no, volontario o no, pensato o no, è innanzitutto manifestazione di una hybris (tracotanza) che non riconosce la propria natura limitata e cade; e cadendo commette il disfacimento della società tutta, dell'intesa, del linguaggio, della comprensione, non solo del maschio ma anche della femmina nei confronti di sé stessa.
Il femminismo, che pur ha liberato la donna da ruoli forzati che la chiudevano in ruoli casalinghi, ha trascurato la figura maschile che necessita ancora di essere liberata dall'assumersi rischi in silenzio, verso i quali sembrerebbe destinata a causa del suo sesso da millenni, o da problemi specifici che necessitano di uno spazio sicuro e non giudicante per poter essere accolti, e non di certo di un clima misandrico e femminista.
Il rimedio a questa incomprensione e a questo bi-sessismo probabilmente non è solo uno, ma si può partire sicuramente nell'indirizzare con successo azioni che comunicano la nostra fiducia nell'altro e nell'indirizzare con successo azioni che ispirano nell'altro fiducia in noi.
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